Dublin Core
Title
La leggenda della Val del Boia raccontata da Bernardetta Pallozzi
Subject
leggenda
Description
Ci sono luoghi senza nome e luoghi che hanno nomi davvero singolari. Questa storia vi racconta l'origine del toponimo di una valle della pedemontana veneta.
Creator
Bernardetta Pallozzi
Contributor
montaggio audio: Marco Piazzolla
Format
m4a
Language
italiano
Type
registrazione audio
Oral History Item Type Metadata
Duration
8' 22''
Transcription
La leggenda della Valle del Boia A un centinaio di metri dalla Chiesa di Campotamaso, nel comune di Valdagno, verso ovest, prima di imboccare il ponte "austriaco” si può notare una stradina scendere ripida per qualche metro e costeggiare un torrentello. Già dopo le prime cascatelle del piccolo corso d'acqua ci si trova circondati da ripidi boschi e dirupi. Subito si avverte la sensazione di lasciare il mondo reale per inoltrarsi verso quello magico delle fiabe per esplorare la Valle del Boia. Questo luogo prese il nome da un oscuro personaggio e da un tragico avvenimento che si dice sia accaduto fra questi boschi e il torrente che ne lambisce i piedi. Poco discosta dal rivo d'acqua viveva una famigliola composta da marito, moglie e un bambino di nome Mattia familiarmente chiamato Mat. La madre un giorno si ammalò. Denaro per curarla non ce n'era medicine neppure. Si cercò rimedio con delle erbe medicamentose, ma purtroppo la febbre non accennava a diminuire. Il povero uomo, non sapeva più cosa fare. Conosceva poco le persone delle contrade vicine in quanto forestiero. Gli abitanti del vicino paesetto dicevano che in quella famiglia si "s-ciauscava e si faceva un 'todescamento bestia”. Anche per questo motivo non c'era comunicazione. In una notte, divorata dalla febbre e in balia del delirio, la donna spirò tra le braccia del marito con accanto il bimbo che piangeva. Il pover'uomo dopo la disgrazia si diede un gran da fare per assicurare a se e al figlio un minimo di sostentamento. Si dice fosse molto bravo nella lavorazione del legno. La gente partiva anche da lontano per acquistare i suoi utensili da lavoro e per la casa. Egli era assai poco esigente e in cambio chiedeva dell’altra merce. Qualcuno disse esercitasse una qualche attività mineraria. E poi tagliava la legna dei boschi che all'epoca erano molto folti. Una parte serviva anche per fare il carbone. Allevava qualche pecora e qualche capra e altri animali da cortile. Si diceva fosse un uomo fortissimo, instancabile, rude e con una barba incolta. Forse buono in fondo all'animo, ma non particolarmente portato per i rapporti con gli altri. I bambini delle contrade lo evitavano. L'unica consolazione rimastagli era il ragazzo, che ormai si stava facendo uomo. Timoroso di perderlo cercava di tenerlo il più possibile lontano dalle case, dai paesi, dalla gente. Come e forse più del padre il giovane aveva difficoltà nel comunicare a causa proprio di tale isolamento. Si dice che questi individui si intendevano maggiormente con la gente dei monti. Ma un po' alla volta il figlio contro il volere del padre incominciò ad allontanarsi dai luoghi abituali girovagando, per quanto gli era possibile alla ricerca di comunicazione con altri suoi simili. Una sera, tornato a casa dopo essere stato lontano tutto il giorno trovò il padre in preda all'ira. Il genitore gli chiese di rendergli conto di quella prolungata assenza. Il giovane raccontò di essersi recato lontano, e di aver visto prima il Castello e poi Castelvecchio. Da quelle alture aveva potuto osservare vallate, torrenti e pianure e aggiunse: "Sapessi quanto è grande il mondo!" Per tutta risposta il vecchio scaricò la sua ira picchiando il figlio. Era ossessionato all'idea di perderlo. Tuttavia da quel giorno decise di portarselo assieme nelle poche occasioni in cui si doveva recare a valle per vendere e acquistare il necessario alla famiglia. Quando poi compì 18 anni il padre decise di mandare lui in pianura per vendere la mercanzia da lui prodotta.
Il figlio ascoltò le raccomandazioni e i suggerimenti del genitore, poi s'incamminò soddisfatto con il suo
fardello sulle spalle. All'imbrunire non vedendolo arrivare, il vecchio incominciò a preoccuparsi. Quando fu calata la sera, era al colmo dell'agitazione e dell'ira. Quando sarebbe tornato gliela avrebbe fatta pagare cara. Durante la notte la rabbia sbollì e fece posto alla preoccupazione. Forse poteva essere successo qualche cosa di grave a Mat. E se avesse trovato una tezza o un fienile ad ospitarlo durante la notte, pensava. Aveva fatto tardi perché aveva voluto vendere tutto, forse aveva fatto affari nella speranza che il padre fosse stato fiero di lui. Tra ansie, preoccupazioni e simili pensieri, il vecchio trascorse la notte. All'alba come sempre era già al lavoro, ma il pensiero rimaneva costantemente rivolto al suo Mat. A mezzogiorno rinchiusi tutti gli animali nella stalla partì. Non poteva più aspettare. Doveva trovare suo figlio. Vagò a lungo chiedendo notizie ovunque di Mat. Qualcuno disse di averlo visto e qualche altro aggiunse che aveva venduto tutto. Dopo qualche giorno di inutili ricerche il vecchio perse le ultime speranze di ritrovarlo. S'incamminò verso la sua valle: era sporco, stanco, aveva la barba lunga e gli occhi allucinati per lo sfinimento e la disperazione. Una prima nebbia di pazzia stava avvolgendo il suo cervello. In quel sofferto ritorno, dopo aver oltrepassato alcune case, scorse, poco oltre un piccolo capitello, un cumulo di sassi e sopra di esso una rustica croce, senza alcuna scritta. Vicino ad esso una vecchietta biascicava qualche preghiera e alcuni bambini giocavano. Il vecchio con un filo di voce chiese qualcosa alla donna, la vecchietta raccontò che da qualche giorno lì' sotto era sepolto un bel giovane dall' apparente età di 20 anni, aveva capelli lunghi, occhi azzurri ma un po' mal vestito. Era stato assalito da alcuni briganti che volevano derubarlo, ma poiché non riuscivano a toglierli il denaro, lo avevano colpito ripetutamente con un bastone. Abbandonatolo esanime a terra, erano fuggiti con i soldi. Il vecchio ebbe un sussulto, fece qualche altra domanda, sull'aspetto fisico del ragazzo ucciso, poi fu sicuro ... Emise un urlo disumano così forte da far rimbombare i monti. Accanto a un casolare tra un mucchio di legna scorse una scure. La pazzia lo stava divorando. Raccolse l'utensile e cominciò a vibrare colpi forsennati a quanti incontrava lungo il suo cammino, quel giorno seminò morte. Poi si ritirò nella sua valle, dove continuò ad ammazzare quanti incautamente lo avvicinavano. Durante una notte di lampi e tuoni, tra urla che facevano eco in tutta la valle, il povero disgraziato si accasciò esanime invocando per l'ultima volta il nome del suo Mat. C’è ancora un sasso nero in mezzo alla Valle e la leggenda dice che quello fu il guanciale della sua ultima ora. C’è un albero solo vicino a quel masso, perché gli altri morirono tutti con lui.
Il figlio ascoltò le raccomandazioni e i suggerimenti del genitore, poi s'incamminò soddisfatto con il suo
fardello sulle spalle. All'imbrunire non vedendolo arrivare, il vecchio incominciò a preoccuparsi. Quando fu calata la sera, era al colmo dell'agitazione e dell'ira. Quando sarebbe tornato gliela avrebbe fatta pagare cara. Durante la notte la rabbia sbollì e fece posto alla preoccupazione. Forse poteva essere successo qualche cosa di grave a Mat. E se avesse trovato una tezza o un fienile ad ospitarlo durante la notte, pensava. Aveva fatto tardi perché aveva voluto vendere tutto, forse aveva fatto affari nella speranza che il padre fosse stato fiero di lui. Tra ansie, preoccupazioni e simili pensieri, il vecchio trascorse la notte. All'alba come sempre era già al lavoro, ma il pensiero rimaneva costantemente rivolto al suo Mat. A mezzogiorno rinchiusi tutti gli animali nella stalla partì. Non poteva più aspettare. Doveva trovare suo figlio. Vagò a lungo chiedendo notizie ovunque di Mat. Qualcuno disse di averlo visto e qualche altro aggiunse che aveva venduto tutto. Dopo qualche giorno di inutili ricerche il vecchio perse le ultime speranze di ritrovarlo. S'incamminò verso la sua valle: era sporco, stanco, aveva la barba lunga e gli occhi allucinati per lo sfinimento e la disperazione. Una prima nebbia di pazzia stava avvolgendo il suo cervello. In quel sofferto ritorno, dopo aver oltrepassato alcune case, scorse, poco oltre un piccolo capitello, un cumulo di sassi e sopra di esso una rustica croce, senza alcuna scritta. Vicino ad esso una vecchietta biascicava qualche preghiera e alcuni bambini giocavano. Il vecchio con un filo di voce chiese qualcosa alla donna, la vecchietta raccontò che da qualche giorno lì' sotto era sepolto un bel giovane dall' apparente età di 20 anni, aveva capelli lunghi, occhi azzurri ma un po' mal vestito. Era stato assalito da alcuni briganti che volevano derubarlo, ma poiché non riuscivano a toglierli il denaro, lo avevano colpito ripetutamente con un bastone. Abbandonatolo esanime a terra, erano fuggiti con i soldi. Il vecchio ebbe un sussulto, fece qualche altra domanda, sull'aspetto fisico del ragazzo ucciso, poi fu sicuro ... Emise un urlo disumano così forte da far rimbombare i monti. Accanto a un casolare tra un mucchio di legna scorse una scure. La pazzia lo stava divorando. Raccolse l'utensile e cominciò a vibrare colpi forsennati a quanti incontrava lungo il suo cammino, quel giorno seminò morte. Poi si ritirò nella sua valle, dove continuò ad ammazzare quanti incautamente lo avvicinavano. Durante una notte di lampi e tuoni, tra urla che facevano eco in tutta la valle, il povero disgraziato si accasciò esanime invocando per l'ultima volta il nome del suo Mat. C’è ancora un sasso nero in mezzo alla Valle e la leggenda dice che quello fu il guanciale della sua ultima ora. C’è un albero solo vicino a quel masso, perché gli altri morirono tutti con lui.
Location
Valdagno, La Valle del Boia